mercoledì 26 marzo 2014

Cosa c'è in fondo ai miei occhi?

Aristotele descriveva la conoscenza come un unico processo che dai sensi va all'intelletto (non vi è nulla nell'intelletto che prima non sia stato percepito dai sensi), dal singolare all'universale.
La sensazione è un'alterazione, positiva.
Tra i cinque sensi la vista è privilegiata: evidente, affidabile, cattura immagini e le spedisce a quella grande sala che è la memoria.

Gli occhi dei bambini, esseri lievemente sproporzionati, sono più grandi del normale: non vedono più cose, le vedono meglio, le girano e rigirano per osservarne ogni lato - dietro, sotto, di sghimbescio -.

Io e baby B avviciniamo i visi, fino a che la punta del mio naso tocca la sua. Spalanchiamo gli occhi, da civette, e iniziamo a giocare.





- Cosa c'è in fondo ai miei occhi? -, chiede lei.

- I battiti del cuore degli adulti, aritmici, come lucine del luna park, una accesa una spenta, una accesa una spenta,
principesse con smalti metafisici,
nuvole che non corrono, che non si sfilacciano; che non vanno da nessuna parte,
adulti indaffarati: devono preparare pranzi, emettere fatture, twittare aforismi di Oscar Wilde,
anamnesi di una vita nell'acqua,
i leggings lisergici delle tue amiche,
le mie sopracciglia - corrucciate, euforiche, malinconiche, scollate, uggiose -
le lettere dei libri dei grandi, in particolare la K (molto rara), che evaporano nei tuoi sogni la notte,
gelati pallidi, biologici
e la maglietta col leone che ruggisce -, rispondo io.

Tocca a me:

- Cosa c'è in fondo ai miei occhi? -.
- Ci sono io, in fondo ai tuoi occhi. -, risponde lei.




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